IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 3862/1990 r.g.
 - n. 1582/1990 sez. I, proposto da Barchitta Gaetano, rappresentato e
 difeso dall'avv. Nino  Giannitto  nel  cui  studio  e'  elettivamente
 domiciliato  in  Catania,  via  Luigi  Rizzo  n.  29, contro l'unita'
 sanitaria locale n. 30 di Palagonia, in persona  del  presidente  del
 comitato  di gestione pro-tempore, non costituitosi in giudizio e nei
 confronti  dell'assessorato  regionale  alla   sanita'   in   persona
 dell'assessore  pro-tempore,  rappresentato  e difeso dall'avvocatura
 dello Stato di Catania, domiciliataria per legge  per  l'annullamento
 della  deliberazione  n.  635 del 9 novembre 1990, del presidente del
 comitato di gestione della u.s.l intimata,  con  la  quale  e'  stata
 rigettata   l'istanza   di  mantenimento  in  servizio  avanzata  dal
 ricorrente l'11 ottobre 1990 ed e' stato disposto il suo collocamento
 a riposo, per raggiunti limiti di eta' a decorrere da 2 gennaio  1991
 e cioe' al compimento del sessantacinquesimo anno di eta';
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto   l'atto   di   costituzione  in  giudizio  dell'assessorato
 intimato;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Designato relatore per la pubblica udienza del 13 febbraio 1991 il
 consigliere dott. Salvatore Schillaci;
    Udito l'avv. N. Giannitto per il ricorrente;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    Con  il  gravame  introduttivo  del  giudizio  si  espone  che  il
 ricorrente  e'  dirigente  veterinario  alle  dipendenze  dell'u.s.l.
 resistente.
    Il 1 gennaio 1991 il ricorrente ha compiuto sessantacinque anni (e
 anni  38,  mesi  sette  e  giorni  uno  di anzianita' contributiva) e
 l'amministrazione resistente con la delibera inpugnata lo ha posto in
 quiescenza a detta data.
    Con  il  gravame  introduttivo  del  giudizio  si  muove  all'atto
 impugnato   la   seguente   censura:   illegittimita'  costituzionale
 dell'art. 53 del decreto del Presidente della Repubblica n.  761/1979
 e  dell'art.  1 comma 4-quinquies del d.-l. 27 dicembre 1989, n. 413,
 convertito nella legge 28 febbraio 1990, n. 37, per contrasto con gli
 artt. 3 e 38 della Costituzione.
    L'u.s.l.  intimata  non  si  e'  costituita  in  giudizio,  mentre
 l'assessorato  regionale  alla  sanita'  ha  chiesto  il  rigetto del
 gravame.
    Alla pubblica udienza del 13 febbraio 1991 la causa e' stata posta
 in deliberazione.
                             D I R I T T O
    1.  -  Il  collegio  ritiene  che  vanno  sottoposti  al  giudizio
 incidentale di costituzionalita' l'art. 53 del decreto del Presidente
 della  Repubblica  20  dicembre  1979,  n.  761  (stato giuridico del
 personale delle unita' sanitarie locali), l'art. 1, comma 4-quinquies
 del d.-l. 27 dicembre 1989,  n.  413,  convertito  con  modificazioni
 della  legge 28 febbraio 1990, n. 37, per contrasto con gli artt. 3 e
 38 della Costituzione della Repubblica, in quanto:
      il  collocamento  a  riposo  e'  obbligatorio  ed  e'   eseguito
 d'ufficio,  indipendentemente  da ogni altra causa, al compimento del
 sessantacinquesimo anno di eta' per il personale sanitario e  tecnico
 laureato,  amministrativo,  di  assistenza  religiosa e professionale
 (art. 53 del decreto del Presidente della Repubblica n. 761/1979);
      i sovraintendenti sanitari, i direttori sanitari  ed  i  primari
 restano  in servizio sino al compimento del settantesimo anno di eta'
 qualora alla data di entrata in vigore della legge 10 maggio 1964, n.
 336, occupavano un posto di ruolo nelle funzioni ivi indicate (art. 5
 del d.-l. n. 402/1982);
      solo i dirigenti civili dello Stato, in servizio alla data del 1
 ottobre 1974, che al compimento del sessantacinquesimo anno  di  eta'
 non  hanno  raggiunto  il  numero  di  anni  di  servizio  tale a far
 conseguire il massimo del trattamento di quiescenza possono  rimanere
 in   servizio,   previa   istanza,  sino  al  conseguimento  di  tale
 trattamento massimo, e comunque non oltre  il  settantesimo  anno  di
 eta' (art. 1 comma 4-quinquies del d.-l. 27 dicembre 1989 n. 413).
    2.  -  Cio'  premesso,  osserva  il  collegio  che la questione di
 legittimita' delle predette norme si appalesa rilevante ai fini della
 decisione del gravame introduttivo del giudizio.
    Il ricorrente, infatti, non rientra nella categoria  di  personale
 che  puo'  beneficiare  della  norma  di  cui all'art. 5 del d.-l. n.
 402/1982 (convertito con modificazioni dalla legge n. 627/1982).
    Il collegio precisa, peraltro, che il ricorrente viene collocato a
 riposo  al  compimento del sessantacinquesimo anno di eta' senza aver
 maturato un quarantennio di servizio effettivo utile a pensione.
    3. - Valutata la rilevanza della questione di costituzionalita' ai
 fini della decisione del ricorso, il collegio ne ritiene  sussistente
 anche la non manifesta infondatezza.
    Il  collegio  muove  dalla  osservazione  che  il  legislatore  ha
 recentemente  perseguito  l'indirizzo  di   prolungare   l'eta'   del
 collocamento a riposo sino al settantesimo anno di eta' per categorie
 sempre piu' numerose di pubblici dipendenti, senza pero' disciplinare
 la  materia  in  modo  organico  e razionale, al fine, soprattutto di
 evitare situazioni di disparita' di trattamento.
    Significativi a tal proposito sono i seguenti testi normativi:
      la legge 28 febbraio 1990, n. 37 (art. 1, comma 4-quinquies) per
 i dirigenti dello Stato;
      la legge 7 agosto 1990,  n.  239,  riguardante  il  collocamento
 fuori ruolo dei docenti universitari;
      la legge della regione Calabria, approvata il 18 ottobre 1989 ed
 impugnata  da  Governo  dinanzi  la  Corte  costituzionale e ritenute
 conforme ai precetti costituzionali con la sentenza del  4/12  aprile
 1990, n. 186.
    Una  prima  sostanziale  disarmonia  al  regime del collocamento a
 riposo del personale pubblico e' stata introdotta  con  il  d.-l.  27
 dicembre  1989,  n.  413  (recante disposizioni urgenti in materia di
 trattamento economico dei dirigenti dello Stato  delle  categorie  ad
 essi  equiparate,  nonche'  in  materia  di pubblico impiego), che e'
 stato convertito con modificazioni della legge 28 febbraio  1990,  n.
 37.  Proprio  in  sede  di  conversione il Parlamento ha approvato un
 emendamento al testo del d.-l. volto ad estendere ai  soli  dirigenti
 dello  Stato  la norma di cui all'art. 15 comma secondo e terzo della
 legge 30 luglio 1973, n. 477, e all'art. 10, sesto comma, del d.-l. 6
 novembre 1989, n. 357, convertito con modificazioni  dalla  legge  27
 dicembre 1989, n. 417.
    Ad  avviso  del collegio, con la norma predetta, si e' determinata
 una palese, ingiustificata e traumatica rottura dell'unitario  regime
 normativo  che  accumunava  i  dirigenti  civili  dello  Stato  ed il
 rimanente personale dei vari comparti del pubblico impiego,  e  cioe'
 non tanto e non solo in ordine all'eta' massima per il collocamento a
 riposo, quanto, soprattutto, in relazione al trattamento economico di
 quiescenza godibile.
    La  ratio della normativa riguardante il personale della scuola fu
 individuata dalla Corte costituzionale con la  sentenza  n.  207  del
 9/24  luglio  1986  nella  quale si legge: "le disposizioni di cui al
 secondo e terzo comma di cui all'art. 15  della  legge  n.  477/1973,
 costituiscono  un  regime transitorio; poiche' infatti, anteriormente
 alla legge de qua  i  professori  delle  scuole  secondarie  venivano
 collocati  a  riposo  a  70  anni,  il legislatore nel momento in cui
 abbassava il limite di eta' a 65 anni ha  ritenuto,  dettando  i  due
 surriportati  commi,  di disciplinare il passaggio dalla vecchia alla
 nuova disciplina".
    La medesima ratio non e' individuabile nella disposizione  di  cui
 all'art.  1,  commma  4-quinquies, del d.-l. n. 413/1989, dal momento
 che i dirigenti civili dello Stato, al  pari  della  generalita'  dei
 pubblici dipendenti, venivano collocati a riposo (anche anteriormente
 al 1 ottobre 1974) al compimento del sessantacinquesimo anno di eta'.
    Ne  puo'  argomentarsi  che altre categorie di pubblici dipendenti
 godono di un analogo trattamento  di  favore  (magistrati  e  docenti
 universitari).
    Per  queste  ultime  categorie,  infatti,  il  legislatore  non e'
 intervenuto con norme che disciplinano il collocamento  a  riposo  in
 ragione  dell'anzianita'  utile  al trattamento di quiescenza, bensi'
 con norme che prevedono un maggiore limite di eta' in  via  generale,
 riconoscendo    da   un   lato   la   peculiarita'   della   funzione
 (giurisdizionale o di docenza superiore) e dall'altro  l'esigenza  di
 non  disperdere  in  settore  tanto  delicato della vita pubblica, un
 patrimonio  di   indubbio   valore   sul   piano   della   esperienza
 professionale.
    Analoga  ratio  non puo' rinvenirsi nella norma di cui all'art. 1,
 comma 4-quinquies del d.-l. n. 413/1989.
    La  finalita'  della  disposizione  e'  esplicitamente  quella  di
 consentire  l'incremento  della  base  stipendiale  pensionabile, dal
 momento che con l'art. 10, sesto comma, del d.-l. n. 357/1989  (norma
 parimenti  estesa ai dirigenti civili dello Stato) si e' disposto che
 il servizio utile da  prendere  in  considerazione,  insieme  con  il
 servizio  effettivo, ai sensi dell'art. 40 del Decreto del presidente
 della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1902, ai fini della  permanenza
 in servizio prevista dall'art. 15, secondo e terzo comma, della legge
 n. 477/1973, deve intendersi comprensivo di tutti i servizi e periodi
 riscattati,  computati e ricongiunti per il trattamento di quiescenza
 con provvedimento formale.
    La norma di cui al d.-l. n. 413/1989  ha  dunque,  introdotto  una
 disciplina  in  favore  per  i  dirigenti  civili  dello Stato che al
 compimento dei 65 anni non hanno maturato 40 anni di servizio utile a
 pensione e che,  quindi,  godrebbero  senza  tale  disciplina  di  un
 trattamento  di  quiescenza  inferiore  rispetto a quello previsto in
 relazione al massimo del servizio valutabile.
    La differente portata della norma, che consente l'incremento della
 base contributiva ai fini previdenziali, da quelle che  prevedono  in
 via generale un superiore limite di eta' per il colocamento a riposo,
 assume  un  indubbio  rilievo  al fine di saggiarne la conformita' ai
 precetti costituzionali di cui agli artt.  3  e  38,  secondo  comma,
 della Costituzione.
    Nell'ipotesi   in   cui  si  determinano  legislativamente  limiti
 generali differenti di collocamento a riposo, ha insegnato il giudice
 delle leggi che ben puo' giustificarsi un  differenziato  trattamento
 in  considerazione della peculiarita' delle carriere o di contingenze
 che giustificano sacrifici o agevolazioni  di  posizioni  di  impiego
 (Corte costituzionale 9 giugno 1986, n. 134).
    Nell'ipotesi  in  cui  si  pongono  invece  norme  che  tendono  a
 incrementare la base contributiva non  puo',  a  giudizio  di  questo
 collegio,  giustificarsi,  la  previsione  immotivata  di trattamenti
 differenziati solo con conferimento alla  gerarchia  delle  carriere,
 atteso   che   l'esigenza   di  assicurare  un  edeguato  trattamento
 previdenziale di fine rapporto e'  garantito  dall'art.  38,  secondo
 comma,  della  Costituzione  a  tutti i lavoratori, per cui eventuali
 differenziazioni non possono rimettersi  alla  mera  discrezionalita'
 del legislatore.
    A   tal   proposito   il   collegio   non   ignora  che  la  Corte
 costituzionale, con la sentenza n. 761  del  19/27  luglio  1989,  ha
 dichiarato non fondato il sospetto di incostituzionalita' della norma
 contenuta  all'art.  4  del t.u. 29 dicembre 1973, n. 1902, ritenendo
 che:
      a ragione non viene estesa  a  tutto  il  settore  del  pubblico
 impiego  la  disposizione dell'art. 15 della legge n. 477/1973, che a
 natura transitoria ed e' collegata ad una peculiare contingenza;
      si tratta di una norma derogativa che non puo' essere assunta  a
 metro   di   legittimita'   della  regola  generale  dettata  in  una
 determinata materia.
    Cio'  premesso,  diventa   quindi   obiettivamente   sospetta   la
 legittimita'   costituzionale   delle   norme   che  disciplinano  il
 collocamento a riposo del personale  dipendente  delle  uu.ss.ll.,  e
 cio'  proprio  alla luce delle disposizioni che disciplinano (dopo la
 sentenza della Corte costituzionale n. 469/1989)  l'incremento  della
 base  contributiva  per  i  dirigenti  civili dello Stato, (come gia'
 rilevato con l'ordinanza di rimissione alla Corte di questo tribunale
 amministrativo n. 29 del 21 aprile 1990).
    Non vi e' dubbio, infatti, che con la previsione di una  norma  di
 favore  per  i  dirigenti civili dello Stato viene a determinarsi una
 palese disparita' di  trattamento,  del  tutto  ingiustificata  nella
 disciplina dei rapporti di pubblico impiego.
    Lo  Stato  economico e giuridico dei dirigenti civili dello Stato,
 disciplinato, dalla  legge  30  giugno  1972,  n.  748,  infatti,  ha
 lasciato  inalterato  il  trattamento di quiescenza, regolato in modo
 uguale per tutti i dipendenti dello Stato dalla legge n. 1092/1973.
    A cio' va aggiunto che la stessa categoria della dirigenza statale
 presenta al suo interno non poche posizioni anomale, dal momento  che
 al   possesso   della  qualifica  dirigenziale  non  sempre  consegue
 necessariamente lo svolgimento delle relative funzioni,  per  cui  la
 qualifica   dirigenziale   viene  a  costituire  sostanzialmente  una
 progressione automatica della ex carriera direttiva.
    Tale contesto  della  realta'  normativa  evidenzia  vieppiu'  che
 l'art.  1,  comma  4-quinquies del d.-l. n. 413/1989, nel limitare il
 beneficio alla sola  categoria  dei  dirigenti  civili  dello  Stato,
 produce  un  ingiustificato  privilegio in violazione degli artt. 3 e
 38, secondo comma, della Costituzione.
    Sul   piano   della   coerenza   dell'ordinamento   giuridico    e
 dell'unitarieta'    della   pubblica   amministrazione,   globalmente
 considerata,  appare  incomprensibile  la  ratio  che  presiede  alla
 estensione  ad  una  sola categoria di personale statale di una norma
 (l'art. 15 della legge n. 477/1973)  che  concerneva  un  particolare
 settore  della  p.a.  (personale  docente  e non docente della scuola
 senza distinzione di qualifiche), senza che analoga  posizione  venga
 concessa, senza esclusione di altre categorie altrettanti meritevoli,
 anche  ai  dirigenti  del servizio veterinario delle unita' sanitarie
 locali.
    Del resto, la stessa Corte costituzionale, con riferimento a norme
 che  disciplinano  il  servizio  utile  a  conseguire   un   adeguato
 trattamento   economico  di  quiescenza  ha  ritenuto  che  non  puo'
 reputarsi conforme ai  principi  costituzionali  una  disciplina  che
 discrimini  in relazione alla qualifica o al grado posseduto (C.C. n.
 154 del 13 maggio 1984, n. 531 dell'11 dicembre 1989).
    4.  -  Cio'  premesso  il collegio ritiene che vanno sottoposti al
 giudizio incidentale di costituzionalita' l'art.  53  del  d.P.R.  20
 dicembre  1979,  n.  761  (stato giuridico del personale delle unita'
 sanitarie locali), l'art. 1, comma 4-quinquies, del d.-l. 27 dicembre
 1989, n. 413, convertito con modificazioni della  legge  28  febbraio
 1990,  n.  37,  per contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione
 della Repubblica.
    Il  collegio  ritiene,  pertanto,  che  ricorrono  i   presupposti
 normativi per la rimessione degli atti alla Corte costituzionale;
    Va,  quindi,  disposta  la  sospensione del presente giudizio e la
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
    Va, quindi, disposta la sospensione del  presente  giudizio  e  la
 trasmissione  degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione
 della sopra prospettata questione di costituzionalita'.